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Matteo Guariso | Luce
Osservando il lavoro di Matteo Guariso sulla Centrale Termoelettrica di Trezzo d’Adda il mio pensiero è andato subito ai tre registri lacaniani:
– L’Immaginario
– Il reale
– Il Simbolico
L’Immaginario è ciò che avviene nel pensiero, il Reale avviene fuori da noi, il Simbolico è il linguaggio che è struttura dell’inconscio.
La scelta di lavorare su un edificio industriale attivo senza rendere il risultato una mediocre rappresentazione di ciò che è, ha rappresentato un grande rischio.
Scivolare nella banalità del tema producendo un risultato utile al marketing aziendale o all’archivistica era davvero facile.
Sarebbe stato uno shooting professionalmente corretto ma totalmente inutile per la fotografia d’autore.
In realtà Matteo ha prodotto un lavoro molto interessante, utilizzando la centrale idroelettrica per raccontarci altro; l’edificio è un espediente necessario per portarci altrove.
Questo è il motivo per cui associo il progetto ai tre registri di Jaques Lacan 1.
Le immagini fotografano un edificio vero (il Reale) posto dinnanzi all’obiettivo, niente farebbe pensare che il fotogramma non rappresenterà davvero quello che si vede andando sul luogo e invece il pensiero di Guariso lo trasforma in altro (l’Immaginario) per descriverci uno spazio interiore attraverso la trasformazione dell’immagine ed il linguaggio dell’autore (Il Simbolico).
Tema attraente e permanente in quasi tutti i suoi lavori, ci traghetta nel buio in posti sconosciuti che ognuno di noi declinerà secondo le proprie esperienze e la propria cultura.
Pertanto questo lavoro ci obbliga al pensiero, a soffermarci per cercare di capire, non si limita al puro senso estetico comune; direi che per tale motivo è un lavoro difficile al primo sguardo, ha bisogno di tempo perché forse è proprio dentro il tempo che l’autore ci invita ad entrare.
In questo senso potrebbe avvicinarsi all’idea di opera d’arte di Lev Tolstoj quando dice che “L’arte non è, come dicono i metafisici, la manifestazione di qualche misteriosa idea, della bellezza o di dio; non è, come dicono i fisiologi, un giuoco in cui l’uomo sfoga le superflue energie accumulate; non è la manifestazione di un’emozione per mezzo di segni esteriori; non è la produzione di opere
gradevoli; e, ciò che più importa, non è godimento; ma è un mezzo di comunicazione che riunisce gli uomini accomunandone le sensazioni, ed è necessario alla vita e al progresso verso il bene del singolo uomo e dell’umanità.” 2
Matteo trascende, trasforma, cerca visioni oltre l’immagine, in una parola: comunica.
Trasmette questo a chi guarda le sue fotografie in generale e quelle della Centrale idroelettrica di Trezzo sull’Adda in particolare ché rappresenta uno dei suoi lavori migliori.
Non riproduce ciò che ha davanti all’obiettivo ma utilizza il soggetto per creare altro; lontano da quel che si vede realmente.
Oppure quel luogo è davvero così e noi non riusciamo a percepirlo se non attraverso le sue fotografie?
Si coglie un forte desiderio di entrare nel mondo nascosto dell’immagine, di avere un contatto con le parti celate e poco conosciute del mezzo fotografico. Forse li è racchiuso qualcosa che vale la pena di fotografare.
Mi sembra che Matteo concentri la sua ricerca all’interno di questo “non luogo” per farcelo conoscere e vedere. Certamente il suo interesse per la psicologia ha contribuito fortemente alla formazione della sua poetica, abituandolo a suggerire piuttosto che dichiarare.
I suoi lavori non parlano dell’attualità, cercano di proporci percorsi meno battuti, meno accomodanti e rassicuranti.
Non è presente un significato univoco ma piuttosto l’idea di indicare un percorso che inevitabilmente sarà diverso per ogni osservatore e questo lo rende particolarmente interessante.
Si comporta come un autore fotografico non come un fotografo. Mi soffermo spesso su questa mia definizione perché ritengo sia importante insistere sulla sua descrizione per affrontare la visione di un progetto fotografico con un approccio più consapevole.
L’ autore fotografico è una figura relativamente recente, come peraltro lo è la fotografia rispetto alle altre arti, ed ancora in fase di definizione e riconoscimento pubblico; cosa non facile visto che la stessa fotografia fa fatica ad essere universalmente riconosciuta come forma d’arte.
L’ Autore è diverso dal fotografo, entrambi utilizzano la macchina fotografica ma questa è l’unica cosa in comune che hanno.
Il primo è vicino al concetto di artista, fa della propria necessità espressiva un elemento fondante della sua esistenza sentendola come un bisogno assoluto ed incontrollabile indispensabile alla vita.
Il secondo è un professionista che svolge un incarico in modo tecnicamente impeccabile e funzionale a chi glielo ha richiesto, così, ad esempio, avrebbe fotografato la centrale di Trezzo d’Adda perfettamente illuminata, a fuoco, con le composizioni ben bilanciate, ecc., fornendo un prodotto finito pronto per le richieste del committente.
Sono due modi completamente diversi di utilizzare il mezzo fotografico, entrambi con un proprio statuto e pari dignità ma comunque differenti.
Tengo molto a questa distinzione perché ci permette di porci davanti al lavoro di un Autore in un modo maggiormente attento e partecipato, molto più vicino a quello che avremmo durante la visita ad un museo.
E’ necessario costruire la propria sensibilità, la capacità di osservare, così come devo imparare la matematica se voglio leggere un testo in cui compaiono integrali e funzioni, allo stesso modo devo costruire in me le condizioni affinché ciò che vedo possa permearmi dandomi significato.
L’approccio è importante in questo tipo di immagini, perché non stupiscono immediatamente per la loro bellezza né contengono effetti speciali che catturano immediatamente l’attenzione di chi guarda. Sono immagini che diventano belle man mano che si guardano, teoricamente bisognerebbe avere la possibilità di passarci davanti ogni tanto e fermarsi ad osservarle, come faceva Michelangelo con i suoi disegni mentre li preparava. Non andavano bene subito, li attaccava al muro ed ogni tanto li guardava per apporvi o meno delle correzioni; per parlarci.
E’ un approccio lento quello che propongo per entrare nel mondo di Matteo Guariso, un criterio teorico perché certamente non si ha la possibilità di osservare le sue fotografie passandoci davanti ogni tanto; ma è un suggerimento che contiene in se alcune possibilità di avvicinamento al suo lavoro.
Luce è un lavoro lento che ha bisogno di meditazione, si oppone all’ebetismo retinico a cui ci stiamo abituando con il bombardamento di miliardi di immagini provenienti da ogni luogo e confluenti quasi tutte su uno smartphone od un tablet.
Non escono quasi mai dai dispositivi, non diventano quasi mai qualcosa di toccabile, sono tutte virtuali ed impalpabili; non hanno uno spessore, né consistenza, né odore, né peso.
Sono tutte miseramente inesistenti.
Luce invece chiede di porci davanti a lei per guardarla attentamente e lentamente perché esiste, solo così è possibile che ci prenda per mano e ci porti con se.
Chiudo questo breve commento chiedendo aiuto a Proust che dice “la parola è fatta di una sostanza chimica impalpabile che opera le più violente alterazioni”. 3
Credo che questo lavoro possa essere sintetizzato dicendo che la fotografia e la mente del suo autore sono fatte di una sostanza chimica impalpabile che opera le più violente alterazioni.
Buona visione.
Milano, 28 aprile 2016
© aprile 2016 Aldo Sardoni
RIPRODUZIONE RISERVATA | ALL RIGHTS RESERVED
Testo scritto per la curatela della mostra tenuta al Milan Image Photo Fair 2016
1 Jaques Lacan (Parigi1901|1981).
2 Lev Tolstoj, Che cos’è l’arte?, Donzelli Editore, 2010, pag.60.
3 Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto V La Prigioniera, in Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 2014, pag. 24.
ENG
Matteo Guariso | Luce
Looking at the work of Matteo Guariso about the electric power station of Trezzo d’ Adda I immediately thought of the three lacanian principles:
- The Imaginary
- The Real
- The Symbolic
The imaginary is what happens in our mind, the real is what happens outside of us, the symbolic is the interpretation of our subconscious.
The choice of working on an active industrial building, without reproducing a mediocre picture of what it is, was a risky undertaking. Falling into the triviality of the theme and producing something only useful for marketing or historical purposes would have been very easy. This would have been a very professional shooting but totally without meaning for authorial photography. Instead Matteo has produced a very interesting project, using the hydroelectric power station to tell us something different; the building is a necessary vehicle to take us elsewere. This is why I’m able to make a connection with the 3 principles of Jacques Lacan 1. The images show a physical building (the real) in front of the lens. It would be too easy to believe that the photograph is the mere representation of reality, but instead Guariso’s way of thinking transforms it into something else (the imaginary) in order to tell us about an interior landscape through his own personal symbolism (the symbolic).
This appealing motif is permanent in almost all his works, where Matteo transports us to dark and unknown places where each person will then have a different experience according to his own personal story and culture. Therefore this work obliges us to pause and reflect and try to understand more than the mere and common sense of esthetics . For this reason I would say that it is not an easy project to understand at first; we need time and perhaps this is exactly what the author wants: he is inviting us to enter into time.
For this reason his work could approach Tolstoj’s idea of a work of art when he says “Art is not, as metaphysicists say, the demonstration of some mysterious idea of beauty or God; art is not, as physiologists say, a sport in which human beings vent all their accumulated and unnecessary energies ; art is not the demonstration of an inner emotion through external signals or the production of pleasant pieces of work; and, furthermore more, it is not pleasure; but art is a means of communication that brings people together and units feelings, and it is necessary for the life and growth of each individual man and all of mankind.” 2
Matteo transcends, transforms, looks for visions beyond real images, in other words he communicates. In general he communicates with people through all his projects, but especially through the photographs of Trezzo D’Adda central power station which represent one of his best works. He doesn’t reproduce what he has in front of the lens, but he uses the subject to create something else a long way from what we really see. Or perhaps, that place is really like this but we are only able to see it through his photographs ? We feel a strong desire to enter the hidden world behind the image, to have contact with the camera’s secret and less known possibilities. May be there we can find something that is worth being captured. It seems to me that Matteo focuses his attention inside this “no place” allowing us to know and see it. Certainly his interest in Psychology has greatly helped him create his poetic vision and has encouraged him to suggest rather than to declare. His work doesn’t tell us about the here and now but tries to take us a long paths less travelled and less reassuring. In his work there is no univocal meaning but rather the idea of suggesting a direction that, inevitably, will be different for each observer and this makes him particularly interesting. He operates as an Author of Photography rather than a professional Photographer. I think it’s very important to use this definition and make this distinction so that we can have a deeper understanding of the complete vision of the project. The figure “Author of Photography” is a relatively new one, as is the concept of Photography itself, compared to other forms of art. After all Photography as a discipline is still being defined and struggles to be universally recognized as an art form . The Author is different from the Photographer, they both use the camera but this is the only thing they have in common. The first one is closer to the idea of an artist and his need to express himself is strictly connected with his existence, an absolute and compelling necessity, essential to his life. The second one is a professional who performs a technically correct job, precisely in the way that someone has asked him to do it. In this way he would have taken the pictures of the Trezzo D’Adda power station with the perfect light and focus and with a perfectly well-balanced composition. The final result would be functional in accordance to the customer ‘s requests. These are two completely different ways of using the camera, each has its own code but requires from us the same respect. I care a lot about this distinction because it allows us to look at an Author’s project with the same attention and interest, as we would employ if we were visiting a Museum. Each of us has to learn a sensibility and an ability to observe. Just as we have to learn maths if we want to read a text in which there are mathematical functions and logarithms, we must create conditions within ourselves so that what we are looking at can permeate our minds with a particular meaning. This approach is especially important for these images that don’t immediately capture our attention through striking beauty and special effects. These are images that become more and more beautiful as we continue to observe them. In theory, we could walk in front of them many times and stop to look at them, just as Michelangelo used to do while preparing his drawings. He hung them on the wall and sometimes passed by speaking to them or making some corrections.It’s a slow approach with which I suggest we enter the world of Matteo Guariso. Obviously this is a theoretic criterion as, of course, we maybe don’t really have the time to keep walking in front of his photographs; but this is a suggestion to better appreciate his work better.Luce is a “slow project” that needs reflection, it contrasts with the retinal stupification to which we are subjected through the bombing of billions of images that come at us from everywere and every directions above all smartphones and tablets. These images never leave their devices, they almost never become something real and touchable, they all are virtual and impalpable; they don’t have thickness, nor smell or weight; they are miserably inexistent. On the contrary “Luce” exists and ask us to stand in front of her looking at her slowly and carefully; only in this way can she take us by the hand and take us with her.
In conclusion I refer to a quote by Proust : “word is made of an impalpable chemical substance that produces incredibly strong reactions” 3. Therefore I think that we can summarize this work by saying that photography and the mind of its author are made of an impalpable chemical substance that produces incredibly strong reactions.
Enjoy the show.
© 2016 Aldo Sardoni
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Curatorship for the exhibition to Milan Image Photo Fair 2016.
1 Jaques Lacan (Parigi1901|1981).
2 Lev Tolstoj, Che cos’è l’arte?, Donzelli Editore, 2010, pag.60.
3 Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto V La Prigioniera, in Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 2014, pag. 24.