Il digitale non è più una scelta ma un obbligo, un segno dei tempi.
Non posso scrivere un romanzo con la penna ed il calamaio, non foss’altro ché, oltre ad essere ridicolo ed anacronistico, avrei grande difficoltà a trovarne uno funzionante.
Così è e sarà soprattutto nei prossimi anni del nostro nuovo secolo.
L’analogico non è un valore in se e comunque è in via di estinzione.
La fotografia resta.
Il digitale permette una rapidità finora inaspettata e come in tutte le novità ci sono i detrattori ed i fautori, forse c’è un abuso in entrambe le parti.
Personalmente non amo la rapidità gratuita, ma neanche l’analogico.
Utilizzo i mezzi tecnologici del periodo che sono stato chiamato a vivere.
Fotografo lentamente e poco.
Alcune immagini impiegano un anno per venire alla luce.
Un anno.
Le cerco e poi le lascio sedimentare nella memoria del computer e aspetto che maturino da sole prima di riconoscerle e svilupparle.
Come i frutti al sole, solo che loro stanno al buio dentro un disco fisso.
Senza inganni ma come si usava una volta la camera oscura.
Mi sembra per ora la strada giusta per mitigare la velocità del digitale che inevitabilmente non lascia molto spazio alla meditazione ed all’elaborazione del pensiero che notoriamente ha bisogno di tempo per manifestarsi.

© Lucca, 22 luglio 2012 | Aldo Sardoni
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