Credo che oggi più che nel passato, gran parte della fotografia d’autore debba essere scritta, abbia cioè la necessità di un apparato teorico-descrittivo che non è necessario al singolo fotogramma perché non spiega allo spettatore la singola immagine ma almeno l’insieme a cui questo appartiene.
Una letteratura intelligente, beninteso, comprensibile e leggibile, non come spesso capita volutamente incomprensibile a causa di una sintassi ed una formulazione complessiva del pensiero che non consente l’interazione col lettore.
La fotografia contemporanea non è più quella del XX° secolo, l’avvento del digitale per tutti (nel senso che è un sistema aperto a chiunque grazie ai bassi prezzi d’ingresso ed ad una qualità prima impensabile con costi così limitati), ha liberato l’essere umano dalla schiavitù della pellicola e dal suo inquinamento, psicologico e ambientale, e si sta trasformando in qualcosa di diverso, sta subendo una mutazione genetica.
In cosa si stia trasformando è troppo presto per dirlo perché la mutazione è ancora in atto, certamente non si può considerare, anche dal punto di vista critico-interpretativo, un’immagine fotografica come lo si faceva 50 anni fa. Non solo perché ovviamente è cambiato il contesto ma soprattutto perché è completamente diverso il mezzo. E’ diventato uno strumento di massa e di questo si deve tenere conto nell’analisi, nello studio, o semplicemente nell’osservazione di un’immagine fotografica realizzata nel XXI° secolo.
Stiamo vivendo l’apertura di una pista inesplorata e tutta da scrivere. Credo che parte di questa debba cominciare da un nuovo dialogo con il passato, le modalità sta agli autori determinarle ed ai critici descriverle.

© 03.07.2011 | Aldo Sardoni
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